domenica 18 agosto 2019

Il Dono delle Fate - Charles Baudelaire




C'era una grande assemblea di Fate per procedere alla ripartizione dei doni tra i neonati arrivati alla vita nelle ultime ventiquattro ore.
Tutte quelle antiche e capricciose Sorelle del Destino, tutte quelle Madri bizzarre della gioia e del dolore, erano molto diverse tra loro: le une avevano l'aria cupa e rincagnata, le altre un'aria burlesca e maliziosa; e une giovani, che erano sempre state giovani: le altre vecchie, che erano sempre state vecchie.
Tutti i padri che hanno fede nelle Fate erano intervenuti, ognuno portando il suo neonato tra le braccia.
I Doni, le Facoltà, le buone Occasioni, le Circostanze invincibili, erano accumulati a fianco del tribunale, come i premi sul palco di una premiazione. Quello che qui vi era di particolare, era che i doni non erano la ricompensa di uno sforzo, ma viceversa una grazia accordata a chi non aveva ancora vissuto, una grazia che poteva determinare il suo destino e diventare o la fonte della sua sventura o quella della sua felicità.
Le povere fate erano molto indaffarate; perché la folla dei postulanti era molto grande, e il mondo intermedio, posto tra l'uomo e Dio, è sottomesso come noi alla terribile legge del Tempo e della sua infinita posterità: i Giorni, i Minuti i Secondi.
In verità, erano frastornate come i ministri nelle giornate di udienza, o come gli impiegati del Monte di Pietà quando una festa nazionale autorizza il gratuito riscatto dei Pegni. Credo anche che guardassero di tanto in tanto la lancetta dell'orologio con la stessa impazienza dei giudici umani, che, in seduta fin dalla mattina, non possono impedirsi di sognare il pranzo, la famiglia, le loro care pantofole. Se nella giustizia sovrannaturale c'è un poco di precipitazione di casualità, non stupiamoci che ce ne sia anche qualche volta nella giustizia umana.
Saremmo altrimenti anche noi giudici ingiusti.
Così quel giorno si presero alcune cantonate, che si potrebbero considerare bizzarre, se la prudenza, e non il capriccio, fosse il carattere eternamente distintivo delle fate.
Così il potere di attirare magneticamente la fortuna fu aggiudicato dall'unico erede di una famiglia ricchissima che, non avendo alcun senso di carità, come d'altronde nessuna cupidigia per i beni più vistosi della vita, doveva trovarsi più tardi prodigiosamente imbarazzato dai suoi milioni.
Così furono donati l'amore del Bello e la Potenza poetica al figlio di un triste straccione, uno spaccapietre, che non poteva in alcun modo né aiutare le facoltà, né soddisfare i bisogni della sua deplorevole progenie.
Ho dimenticato di dire che la distribuzione, in questi casi solenni, è senza appello, e che nessun dono può essere rifiutato.
Tutte le Fate si levarono infine, credendo che la loro fatica fosse compiuta: non rimaneva Infatti più nessun dono, nessuna elargizione da fare a tutti quei poveretti, quando un brav'uomo, un povero piccolo bottegaio, credo, si alzò e afferrando per la veste vaporosa e variopinta la Fata che era più vicina a lui, esclamò:
"Eh! Signora! Vi dimenticate di noi! C'è ancora il mio piccino! Non voglio essere venuto per niente."
La Fata avrebbe potuto essere imbarazzata, perché non restava più niente.
Tuttavia si ricordò in tempo di una legge ben nota, benché molto poco applicata, nel mondo sovrannaturale, popolato da queste divinità impalpabili e amiche dell'uomo, e spesso costrette ad adattarsi alle sue passioni, come le Fate, gli Gnomi, le Salamandre, le Silfidi,  i Silfi, le Nisse, gli Ondini e le Ondine, - mi riferisco alla legge che concede alle Fate, in casi simili a questo, vale a dire nel caso di esaurimento dei lotti, la facoltà di darne ancora uno, supplementare ed eccezionale, purché la fata abbia l'immaginazione sufficiente per crearlo sul momento.
Dunque la buona Fata rispose, con un atteggiamento degno del suo rango: "Io do a tuo figlio... gli do... ti do il Dono di piacere!"
"Ma piacere come? piacere? piacere perché?" chiese ostinatamente il piccolo bottegaio, che era senza dubbio uno di quei comuni ragionatori, che non sanno innalzarsi fino alla logica dell'Assurdo.
"Perché! Perché!" replicò la Fata corrucciata, girandogli la schiena; e raggiungendo il corteo delle sue compagne disse: "Cosa vi pare di quel piccolo Francese vanitoso che vuole capire tutto, e che, avendo ottenuto per suo figlio, il premio migliore, ha ancora l'audacia di interrogare e di mettere in discussione l'indiscutibile?"

tratto da:
Lo Spleen di Parigi. Piccoli poemi in prosa
Charles Baudelaire, Franco Rella, Universale Economica Feltrinelli